
C’è uno sport che non conosce mezze misure. Un gioco fatto di impatto e velocità, di strategia e sacrificio, di corpo a corpo e di intelligenza. Uno sport che insegna a cadere, ma soprattutto a rialzarsi, ogni volta più forti.
È il rugby.
Eppure, per molti, resta ancora un territorio sconosciuto, un mondo di regole complesse e dinamiche di squadra che sfuggono alla logica degli sport più popolari.
In Sicilia c’è un fermento che sta ribaltando questa visione, portando in campo la passione e il coraggio di donne che non accettano limiti imposti da nessuno.
Due squadre, due storie, due percorsi che si intrecciano: le Amatori Rugby Ladies e le Brigastones.

IL RUGBY: MOLTO PIÙ DI UNO SPORT. Per chi non lo conosce, il rugby può sembrare solo una battaglia di corpi lanciati l’uno contro l’altro, ma dietro ogni placcaggio c’è un codice di rispetto, dietro ogni meta c’è un gioco di squadra raffinato, dietro ogni allenamento c’è una disciplina che forma caratteri e relazioni.
Questo sport si basa su principi immutabili: lealtà, sostegno, sacrificio, rispetto.
Non c’è spazio per il protagonismo, non si vince da soli.
Le giocatrici siciliane lo sanno bene. In una terra dove il rugby femminile è ancora una realtà poco percepita, dove il professionismo è un miraggio e dove la maggior parte delle atlete deve conciliare lo sport con lavoro, famiglia o studio, scendere in campo ogni settimana è un atto di pura determinazione e passione.

AMATORI RUGBY LADIES: LA SQUADRA, LA FAMIGLIA, LA MISSIONE. Tra le protagoniste di questa rivoluzione c’è la squadra delle Amatori Rugby Ladies, impegnata nel campionato di Serie A femminile.
Un gruppo che ha affrontato numerose sfide sin dalla sua nascita. Essendo composto da atlete provenienti da diverse società rugbistiche, di località differenti, il team ha dovuto organizzare gli allenamenti in modo strategico, concentrandoli nei fine settimana.
Tuttavia, la vera prova non è stata di tipo logistico logistica, ma rigurdava specialmente la determinazione: ogni giocatrice ha dovuto dimostrare la volontà e l'impegno necessari per affrontare le difficoltà legate alla distanza e alla gestione degli allenamenti.

Il capitano dell'Amatori Rugby Ladies, è un esempio di volontà e spirito sportivo: Ludovica porta con sé un’esperienza di dieci anni nel rugby. Ha iniziato il suo percorso con il Ragusa Rugby, una realtà che in seguito al covid non è riuscita a ricostituire una squadra stabile. Ma la sua passione per questo sport non si è fermata. Tre anni fa ha trovato una nuova casa nell’Amatori Rugby Ladies, una squadra che ha una storia di unione e crescita.
«Per me il rugby è sempre stato più di uno sport: è un luogo dove costruire legami, dove imparare il valore della lealtà, del sostegno reciproco e dell’unione. Per questo il mio sogno è che in Sicilia ci sia una sola grande squadra femminile, senza divisioni tra club della stessa città. Siamo ancora poche, ma insieme possiamo essere più forti», afferma Ludovica con convinzione.

Diversa la storia di Eliana: figlia d’arte, ha ereditato la passione per il rugby da sua madre, la sua roccia, campionessa in campo e nella vita. Eppure, prima di tuffarsi in questo sport, era scettica.
Ha iniziato con il beach rugby, ma solo entrando nell’Amatori ha capito che quella, in realtà, era sempre stata la sua casa: «Per me è un legame profondo, è sorellanza, è sapere che ci sarà sempre qualcuno pronto a sostenerti. Io sono cresciuta con questo sport e quando gioco mi sento a casa. Quando ho giocato la mia prima partita con l’Amatori Rugby Ladies mi sono ritrovata su quel campo dove mia madre aveva sempre giocato. Qualcosa ha voluto che quella fosse proprio la partita in cui lei non poteva più giocare con la nostra squadra perché aveva superato il limite di età. Dai 42 anni in poi, infatti, si entra a far parte di un’altra categoria. Ma quella partita, in cui ho portato due mete, l’ho sentita come un segno. Un passaggio di testimone, un legame che continuava attraverso di me».
Il rugby, in Sicilia, non è ancora una professione. Eliana lo dice chiaramente: «Ho molti altri progetti. Qui non si può vivere di questo sport, eppure per noi è una parte fondamentale della nostra vita».
E allora si lotta, dentro e fuori dal campo, incastrando allenamenti, trasferte, impegni di studio e di lavoro.

Questo spirito di sacrificio e dedizione è stato fondamentale per il successo della squadra, che ha potuto contare sull’esperienza e sulla guida tecnica di Vincenzo Cartarrasa, Luca Leone e Marco Suaria.
Grazie al loro lavoro e alla capacità di superare le difficoltà organizzative, il gruppo ha consolidato la propria identità e rafforzato la coesione tra le giocatrici.
Vincenzo Cartarassa, detto Ciacio, sottolinea quanto l’unione sia il cuore pulsante dell’Amatori Rugby Ladies. Racconta che, inizialmente, lui e gli altri due tecnici si erano interrogati su quali potessero essere le differenze nell’allenare una squadra femminile rispetto a una maschile.
Ma con il tempo, e con grande soddisfazione, hanno capito che queste differenze non esistono.
Il rugby resta rugby, indipendentemente da chi lo gioca.
E a dimostrazione dello spirito di squadra, ha condiviso un aneddoto che va oltre il campo da gioco: un gesto di solidarietà che racconta l’essenza dell’Amatori.
Durante un allenamento, la squadra si è ritrovata senza acqua. Senza esitazione, sono stati proprio i familiari, i fidanzati, le mogli e le persone che gravitano intorno alla squadra ad acquistarla per tutti, senza che nessuno lo chiedesse.
Un piccolo episodio che rivela un grande valore: il senso di appartenenza e di sostegno che unisce non solo le giocatrici, ma anche chi le circonda.
Un altro motivo di orgoglio per la franchigia dell’Amatori è la convocazione di una delle sue giovani promesse, Chiara Ryan, un’atleta U18 che è stata convocata nella squadra nazionale.
Chiara, una ragazza di Messina, rappresenta un esempio di come anche in una realtà rugbistica come quella siciliana, che non offre grandi opportunità, si possano comunque raggiungere traguardi straordinari.
Ciacio, però, non dimentica di rendere merito anche a chi sta dietro le quinte. In particolare, un riferimento speciale va a Sonia Leonardi, la Store Manager, senza la quale tutto questo non sarebbe stato possibile.
Sonia ha dato un contributo fondamentale per la gestione e il supporto logistico della squadra, permettendo così alle ragazze di concentrarsi esclusivamente sul campo e di crescere come gruppo e come atlete.
BRIGASTONES: DUE ANIME, UNA SQUADRA. Ma c’è un’altra storia da raccontare, quella delle Brigastones, una squadra nata dalla fusione tra Rugby I Briganti ASD Onlus - Librino e Cus Catania Rugby.
Un’unione che ha richiesto tempo e fiducia, ma che oggi è diventata una realtà forte, capace di competere in Serie A.
A spiegarlo è il Team Manager Carlo Bonaccorsi, che racconta come il rugby femminile abbia attraversato una fase difficile, con squadre che si sfaldavano per mancanza di ricambio generazionale. La soluzione? Creare un gruppo compatto, con allenamenti condivisi e una nuova mentalità da rugby a 15, una dimensione più tattica e strutturata rispetto al rugby a 7.

Marta, una delle giocatrici, sottolinea l’importanza di questa trasformazione: «Il passaggio al rugby a 15 ci ha permesso di allenarci diversamente, di fare esercizi che prima, in 7, erano impensabili. Oggi la nostra squadra conta 23 ragazze». Un passaggio che ha generato un cambiamento tecnico, ma anche identitario.
La fusione delle due squadre ha unito due modi di combattere differenti: uno più aggressivo, imbattibile e agguerrito, l'altro più morbido, più focalizzato sull'importanza di migliorarsi, di perseverare e di giocare con il cuore.
Questa contaminazione ha dato vita a una franchigia unica, che unisce ferocia e sentimento, con un atteggiamento positivo e di crescita continua.
Gloria, anche lei Brigantessa, racconta l’emozione della recente vittoria del 16 marzo al campo Benito Paolone, un risultato che è andato oltre ogni aspettativa. «Per la prima volta, dopo tanto tempo, abbiamo finalmente giocato nel nostro campo. Abbiamo dato il tutto per tutto ed è stata una vittoria meritatissima, dopo tutti i sacrifici, gli infortuni di tante ragazze… Non ci aspettavamo un risultato così grande, ma ce l’abbiamo fatta».
Negli sport di contatto bisogna sempre mettere in conto la possibilità di infortunarsi, ma questi risultati positivi riscattano anche coloro che non hanno potuto giocare; questo è simbolo di determinazione e di voglia di lottare e fare squadra.

Il progetto delle Brigantesse non si ferma al campo da rugby, ma si estende a iniziative sociali e a un impegno costante verso temi di grande rilevanza, come l'antirazzismo e l’antibullismo.
Questi valori sono capisaldi per la squadra, che cerca di promuoverli non solo attraverso il gioco, ma anche tramite progetti educativi e sociali, come la “Librineria”, nome che nasce per assonanza tra Librino e la parola “libreria”, ed è prima libreria del quartiere che affianca le attività sportive ad appuntamenti legati al mondo della scuola e della cultura più in generale.
Sono esempi di come lo sport può essere un potente veicolo per trasmettere messaggi di inclusione e di cultura, creando una comunità che va oltre l'aspetto agonistico.
Il ruolo educativo e pedagogico viene ribadito soprattutto dalla nascita di una squadra femminile che ha la dedizione di creare iniziative fatte su misura per le donne e le ragazze che hanno bisogno di nuove prospettive di vita: il progetto "Nessuno si educa da solo" è stato concepito in risposta alle difficoltà emerse durante la pandemia, un periodo che ha visto molte giovani abbandonare la squadra, alcune delle quali, pur molto giovani, sono rimaste incinta.
Il progetto ha l'obiettivo di fornire alle ragazze un'educazione che promuova nuovi principi fondamentali, offrendo loro una visione alternativa della vita.
L'intento non è quello di imporre un percorso predeterminato, ma di far comprendere che la maternità non è un destino obbligato né tanto meno un passo da intraprendere in tempi stretti, dando così la possibilità di scegliere liberamente il proprio futuro, con maggiore consapevolezza e libertà.
Nonostante gli sforzi messi in atto, c’è ancora un ostacolo generalizzato, ossia lo stereotipo della donna-maschiaccio e l'immagine del rugby come sport violento e, dunque, considerato tipicamente maschile.
Questo pregiudizio, talvolta legato alla fisicità delle donne, rappresenta un ostacolo significativo per molte ragazze che vorrebbero entrare a far parte della squadra.
La squadra sta lavorando attivamente per superare queste barriere, promuovendo il reclutamento nelle scuole per coinvolgere nuove ragazze, valorizzando la fisicità e la forza delle donne nel rugby e cercando di rinforzare la squadra.
IL CORAGGIO DI CAMBIARSI. Ognuna di queste giocatrici porta con sé una storia unica, e la maggior parte di loro sono neofite del rugby. Eppure, è proprio questa diversità che le unisce.
Elisa, per esempio, è entrata ufficialmente a far parte delle Brigantesse nel 2023, in una squadra composta da persone con esperienze, età e routine differenti.
Nonostante queste differenze, Elisa sottolinea: «Imparo da tutte loro, persino dalle più giovani. Ogni giorno, mi danno tanto». Entrare a far parte di una squadra non è solo una questione di sport; può trasformare profondamente una persona. Come ci racconta Elisa: «Il mio percorso di vita non è stato lineare. Ho affrontato diverse difficoltà, tra cui problemi legati all’ansia e alle mie paure. Ma il rugby mi ha insegnato ad affrontarle».
«Con le Briganstones ho trovato un’altra identità, la mia, quella vera, e non ho più paura di mostrarla», continua Elisa. Anche lei inizialmente era restia quando le hanno proposto di provare un allenamneto di rugby: «Avevo una routine molto rigida. Facevo crossfit e studiavo, e anchi’io ero influenzata dai pregiudizi sul rugby femminile».
Poi, grazie a uno stage come giornalista sportiva al CUS, ha conosciuto questo mondo, ha iniziato a studiarne le regole e a trascriverle sul suo taccuino, finché non ha deciso di compiere quel salto che l’ha portata oggi ad essere orgogliosa di ciò che è: «La mia prima meta è stata un’esplosione di emozioni. Ora non mi vedo senza rugby, mi ha reso più forte, più sicura, più libera. E anche se i miei genitori avrebbero preferito che io facessi altro, quando torno a casa piena di dolori o quando vado all’università con un occhio nero, io mi sento fiera di me, perché so che quell’occhio nero me lo sono guadagnata lottando».

Queste storie raccontano molto più di una disciplina sportiva. Parlano di donne che scelgono di mettersi in gioco, di non lasciarsi fermare dai limiti imposti dalla società, dalla fatica, dalle aspettative.
Ma soprattutto, a comporre queste squadre, sono persone che riescono a guardarsi dentro e ad avere la forza di cambiare. Questo è ciò che salva la società e le nuove generazioni.
Viviamo in un’epoca in cui l’ansia e la paura del fallimento sembrano paralizzare un’intera generazione. Eppure, in mezzo a tutto questo, ci sono persone che danno il tutto per tutto, che non accettano la rassegnazione, cjhe si mettono in gioco per loro stesse e per gli altri.

Quel che è certo è che il rugby non è uno sport per chi cerca una strada facile. È uno sport per chi sa che ad ogni placcaggio c’è solo una conseguenza: imporsi di essere forti. Per chi ha capito che il dolore di un colpo preso non è niente in confronto alla soddisfazione di raggiungere la meta.
Ed è proprio questo il messaggio che arriva da queste ragazze: la possibilità di rinascere. È bello poter vedere la comunanza tra di loro, il fidarsi delle persone, costruendo insieme una forza che va oltre il campo di gioco, trasformando ogni difficoltà in un’opportunità di crescita e affermazione.
È davvero significativo che esistano queste realtà sportive a Catania, soprattutto in un ambito come il rugby, che spesso non è considerato tra i primi sport più seguiti o valorizzati. In una città ricca di tradizione sportiva, ma con un panorama che tende a privilegiare discipline più note come il calcio, è un segnale potente quello delle Amatori Rugby Ladies e delle Brigastones, che continuano a crescere e a coinvolgere sempre più persone: portare avanti un'idea di sport non basta, è necessario far emergere un messaggio culturale che sfida le convenzioni e promuove un cambiamento positivo.
