
E’ un conflitto interiore che l’uomo combatte dall’inizio dei tempi.
La razionalità da un lato, l’irrazionale dall’altro.
Per introdurre quello che succederà nei prossimi giorni non si può prescindere né dall’una, né dall’altra.
C’è un pensiero, forse fuori dalla logica, che ci permette di sperare ancora, aggrappandoci all’imprevedibilità delle cose ed a quel “tutto può ancora succedere” che, fortunatamente, è variabile di vita.
C’è, non è forte come qualche giorno fa, ma c’è ed è anche giusto che ci sia.
Poi c’è una razionalità che, in questo caso, pare avere il gusto acre della sentenza.
Quella razionalità che in realtà ci ha accompagnato fin dal primo minuto, ma che, magari, era stata marginalizzata da pensieri positivi e dalla voglia di cambiare le cose.
L’irrazionale ci permette ancora di pensare che il Catania dopo la sconfitta interna contro il Pescara, possa andare all’Adriatico e ribaltare l’esito della qualificazione al secondo turno nazionale dei playoff, vincendo in trasferta con due gol di scarto.
La lucida razionalità, invece, mantiene ferma la sua posizione sostenendo che stagione e speranze di promozione appaiono ormai completamente archiviate.
Qualcuno, tra i più razionalisti, avrà modo di ribadire: “Ma perché c’è stata mai una speranza di promozione?”
A questi è giusto rispondere: in effetti no, ma era doveroso conservare ed alimentare almeno la speranza.
Detto questo e provando a sintetizzare: per accedere al secondo turno nazionale il Catania a Pescara ha bisogno di un’impresa senza precedenti, giocando la miglior partita della stagione e sperando che gli avversari giochino la peggiore.
Ma quanto deve accadere nella gara di ritorno è frutto di quanto fatto in quella di andata e al Massimino il Catania ha mostrato tante, troppe tra le cose negative palesate durante la stagione.
La mancanza di una rosa ampia (in realtà almeno numericamente i giocatori c’erano, ma Toscano ha preferito schierare per l’ennesima volta la stessa squadra); la difficoltà a concretizzare le occasioni da rete create; i blackout difensivi e, ci dispiace dirlo, qualche valutazione evidentemente non corretta su formazione iniziale e cambi.
Se a questo si aggiunge un arbitraggio discutibile (fischi e cartellini a senso unico) e il peggiore avversario che la sorte (ovvero l’urna) potesse regalare, il dado è tratto e la qualificazione adesso diventata un miraggio.
A questo punto subentra il rispetto: quel rispetto richiesto e sbandierato dal vicepresidente in un’intervista ad un media australiano.
Il rispetto impone a cronisti e opinionisti di aspettare la fine definitiva dei giochi, prima di esprimere giudici complessivi.
Ci sarà tempo per valutare le affermazioni, di metodo, di merito e di contenuto di Grella; le scelte societarie; le decisioni errate e quelle ritardate su alcuni componenti della dirigenza.
Ci sarà tempo per discutere del futuro di dirigenti e tecnici e delle promesse, ormai davvero troppe, non mantenute; di alcune cose dette non rispondenti al vero.
Tempo al tempo e proprio per "rispetto" e senso di responsabilità non è ancora tempo.
Rimane una certezza che nessuno potrà mai scalfire: la passione di una città, di una tifoseria, di un pubblico. Immensa, ineguagliabile in questa categoria.